Il giuramento
In un caldo pomeriggio dell’agosto 1805, un giovane agile ed elegante scende rapidamente la scalinata di Trinità dei Monti, a piazza di Spagna, per raggiungere un signore molto più anziano, appesantito dagli anni e trasandato nel vestire, che lo aspetta in basso.
I due si ritrovano con indubbia soddisfazione e, dopo calorosi saluti e abrazos alla maniera sud-americana, salgono su un calesse in attesa e si dirigono verso la via Nomentana, in direzione del Monte Sacro. Il giovane vuole assolutamente vedere il luogo dove nel V secolo a.c. si è manifestata quella che può essere considerata la prima forma di protesta democratica. La plebe romana, in rivolta contro il Senato, aveva in effetti incrociato le braccia per chiedere di poter eleggere i tribuni e gli edili che li dovranno rappresentare. Un vero atto rivoluzionario, che è rimasto impresso nella mente del giovane da quando ha studiato nel suo paese la storia dell’antica Roma.
Arrivati finalmente a destinazione, avviene qualcosa di straordinario. Il giovane, ispirato verosimilmente dalle parole del suo accompagnatore che lungo il tragitto gli ha parlato delle virtù romane, della filosofia illuminista, dei grandi principi della Rivoluzione francese, della necessità affrancare i paesi del Sud-America dalla opprimente presenza coloniale spagnola, pronuncia, trasfigurato e con voce vibrante, con la visione di Roma che si staglia ai piedi del monte in tutta la sua magnificenza, un solenne giuramento:
“Giuro davanti a voi, mio maestro, giuro per il Dio dei miei genitori, giuro per loro, giuro sul mio onore che non darò pace al mio braccio, né riposo alla mia anima finché non avrò spezzato le catene che oggi ci opprimono per volontà del potere spagnolo. E, nel corso dei successivi vent’anni, manterrà la promessa!
Il giovane si chiama Simón Bolívar, il futuro Libertador di vari paesi dell’America Latina, l’anziano amico é il suo maestro e precettore di sempre, Simón Rodriguez.
Bolívar si trova a Roma, dopo aver vissuto per qualche tempo a Parigi, nel suo secondo viaggio di studio e di formazione politica in Europa e si appresta ad assumere un ruolo storico per tutto il sub-continente americano, quando niente faceva presagire che il giovane aristocratico, occupato ad amministrare le sue numerose haciendas e protagonista di una vita sociale intensa e movimentata, soprattutto nella capitale francese, sarebbe diventato il punto di riferimento per tutti i patrioti sud-americani in lotta per l’indipendenza e la libertà.
I viaggi in Europa
Simón Bolívar nasce a Caracas il 24 luglio 1783, da genitori appartenenti entrambi a famiglie dell’aristocrazia creola, ormai da generazioni residenti in Venezuela: Bolívar Ponte e Palacios Blancos. Simón sfortunatamente non potrà godere a lungo della presenza dei genitori, rimanendo presto orfano, prima del padre e, qualche anno dopo, della madre.
Affidato alle cure di un distratto zio, il piccolo Simón finisce per ritrovarsi spesso nelle strade di Caracas a giocare con ragazzi che non sono certo del suo rango. Di natura ribelle e di carattere volitivo, scappa anche di casa per andare a cercare conforto dalla sorella più grande, Maria Antonia. Ma viene presto riportato indietro e, considerata la difficile situazione, messo come “interno” nel miglior collegio della città, la Escuela Pública. Direttore della scuola è colui che diventerà la sua prima guida spirituale, Simón Rodriguez, uomo di cultura dalle vedute progressiste, ammiratore di Rousseau e di tutti i grandi illuministi francesi. Naturalmente la formazione culturale di un giovane aristocratico creolo dell’epoca comporta il Grand Tour in Spagna e in Europa, che Simón inizia appena diciassettenne. A Madrid si fa notare, nei saloni della buona società, per la sua eleganza e la sua intelligenza e si innamora perdutamente di una giovane aristocratica spagnola, Maria Tersa Rodriguez del Toro y Alaiza. Un amore impetuoso, travolgente ed irresistibile. Nel 1802 vengono celebrate a Madrid le nozze ed i giovani sposi (Simón ha appena 19 anni!) rientrano a Caracas dove iniziano una felice vita matrimoniale. Felicità purtroppo di corta durata. Appena un anno dopo il loro arrivo in Venezuela, Maria muore stroncata dalle febbri tropicali. Per Simón il dolore è immenso: “l’ho persa;e con lei la vita di dolcezza che allietava il mio cuore. Il dolore non mi lascia un solo istante di pace”. Fa allora un altro solenne giuramento: mai più si sposerà! E anche in questo caso manterrà la promessa. La sua vita non sarà priva di donne, di molte donne, che volentieri cedono al suo indubbio fascino, ma nessuna potrà mai rimpiazzare nel suo cuore l’adorata Maria.
Probabilmente per dimenticare la tragedia familiare che l’ha colpito, Simon riparte di nuovo alla volta dell’Europa. Arriva a Parigi nel 1804, in piena effervescenza imperiale. E’ l’anno in cui Napoleone viene incoronato imperatore. A Parigi il giovane vedovo fa una sorta di doppia vita. Se non rinuncia certo ai piaceri ed ai divertimenti che offre la città più animata al mondo, allo stesso tempo tuttavia frequenta intellettuali e personaggi di spicco, che lo fanno riflettere sull’attuale condizione dei paesi sottoposti al giogo coloniale spagnolo e al potente anelito alla libertà che soffia sull’America Latina. E’ il periodo in cui frequenta l’esploratore e scienziato tedesco, Alexander von Humboldt, grande esperto di questioni sudamericane e dalle ampie vedute politiche. Sono gli anni in cui, pieno di sincera fede nei concetti di indipendenza e di libertà, entra nella Massoneria, prima in Spagna e poi in Francia. Nel 1806 è anche Gran Maestro nella Loggia Madre di San Alessandro di Scozia a Parigi. Con questi sentimenti di maggiore maturità politica, un radicato senso della emancipazione dei popoli ed un forte attaccamento ai principi libertari, Simón Bolivar rientra in Venezuela nel 1807.
Trionfo e fallimento della rivoluzione venezuelana
Durante tre anni il giovane aristocratico creolo si occupa essenzialmente di amministrare i propri beni, senza tuttavia dimenticare il suo solenne giuramento di Roma, sempre evocando nei suoi incontri sociali e nelle serate con gli amici la prospettiva dell’indipendenza dalla Spagna del proprio paese. Aspettando verosimilmente la buona occasione per entrare in azione. Finalmente, nell’aprile del 1810, il Municipio di Caracas rifiuta di sottomettersi all’autorità del Consiglio di reggenza, istituito a Madrid dopo la cacciata del re Ferdinando VII ad opera dei francesi e l’insediamento del nuovo re, Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. Il Consiglio municipale ribelle delibera quindi la costituzione di una Giunta, formalmente a tutela degli interessi del re deposto, sostanzialmente per rivendicare autonomia dalla madre-patria, dove è in corso una guerra civile. Il fremente giovane Bolívar riceve allora l’incarico - considerata la sua esperienza internazionale acquisita durante i suoi due viaggi in Europa - di recarsi a Londra per cercare di ottenere la neutralità britannica a quell’avvio di lotta per l’affrancamento del popolo venezuelano. All’inizio si parla genericamente di autonomia, Bolivar non smette invece di pensare alla piena indipendenza, chiunque ci sia al governo in Spagna. Tornato a Caracas, dopo aver lasciato una Londra sempre molto prudente, si adopera per il ritorno in patria di un altro grande protagonista delle lotte per l’indipendenza venezuelana, il generale Francisco Miranda, già da molti anni in lotta contro la potenza coloniale spagnola. Militare di vasta esperienza (ha combattuto persino nell’esercito rivoluzionario francese), ammiratore della costituzione statunitense, ricercato dalla polizia spagnola per i suoi atti di sedizione, Miranda è certamente a quel momento la persona più adatta per dare organizzazione militare ai giovani patrioti desiderosi di battersi contro le truppe spagnole. Lo stesso Simón Bolívar combatterà con entusiasmo ai suoi ordini, ricevendo il battesimo del fuoco nella battaglia di Valencia, dove vengono sconfitte le truppe governative.
Intanto il 5 luglio 1811 era stata proclamata la prima repubblica venezuelana, che avrà vita molto breve, anche a causa di un terrificante terremoto che il 26 marzo 1812 sconvolge il paese, provoca ingenti perdite umane e sembra spostare le priorità politiche del momento. Ma anche in questa circostanza Bolivar dimostra eccezionale determinazione, mai scoraggiandosi e pronunciando la celebre frase che ne illustra bene il carattere: “Se la natura si oppone ai nostri disegni, noi lotteremo contro di essa e faremo in modo che essa ci ubbidisca!”. Ma le cose non andranno nel senso sperato, nonostante i sacrifici dei patrioti. La sua limitata esperienza militare, l’abbandono da parte di molti dei suoi stessi uomini, non consentono a Bolívar di mantenere la fortezza di Puerto Cabello, che torna così nelle mani governative. Qualche settimana più tardi, Miranda, con scarsi effettivi a sua disposizione, di fronte all’atteggiamento sempre molto prudente di Londra restia in definitiva ad inviare rinforzi ai ribelli venezuelani, decide che è preferibile arrendersi alle truppe realiste del generale Monteverde. Decisione probabilmente dovuta alla sicurezza di andare incontro ad un dura sconfitta e di subire ingenti perdite. Decisione che, al contrario, viene risentita dal giovane idealista e patriota, Simón, come un vero e proprio tradimento, tanto più risentito che il “tradimento” viene perpetrato da colui che fino a pochi giorni prima era stato il suo idolo e punto di riferimento politico-militare. Insomma Bolívar è così scosso dalla resa, così ferito nel suo intimo dalla rinuncia al combattimento, così convinto che si stanno calpestando gli ideali sui quali aveva solennemente giurato a Roma, che insieme ad un gruppo di giovani ufficiali denuncerà Miranda agli spagnoli! Senza dubbio una pagina tormentata, drammatica, shakespeariana della storia venezuelana, dove si affrontano due grandi condottieri, due modi di lottare per l’indipendenza del paese: l’uno più politico e pragmatico, l’altro più idealista e radicale. Svanisce in ogni caso la prima repubblica venezuelana, durata lo spazio di appena un anno.
Verso l’indipendenza
Bolívar nel frattempo si è fortunosamente rifugiato a Cartagena de la Indias (Nuova Granada, attuale Colombia) dove, il 15 dicembre 1812, pubblica il Manifesto, uno degli scritti più illuminati del suo pensiero politico-militare e base per la sua azione futura: una sola persona al comando per lottare fino alla vittoria, unione di tutti i paesi latino-americani per conseguire e consolidare l’indipendenza. Bolívar, in sostanza, è convinto che bisogna prima concentrare gli sforzi di tutti gli americani per vincere la guerra e, solo successivamente, occuparsi di organizzare le nuove nazioni indipendenti, che peraltro già intravede come grandi Stati repubblicani, uniti da un vincolo federale. Una lotta immane quindi, che non può svolgersi in un solo paese, ma su tutto il sub-continente per avere maggiori possibilità di successo e spezzare la dominazione coloniale. Un obiettivo teso a fare dell’America Latina una potenza economica, commerciale, politica e militare, in analogia in qualche modo a quanto avvenuto in America del Nord.
Al comando di un piccolo esercito formato nella Nuova Granada, nel febbraio del 1813, dopo avere preso la città di Cucuta, Bolivar si appesta a liberare di nuovo il Venezuela. Dopo aspri scontri con le truppe realiste, nel corso dei quali fa mostra di possedere eccezionali doti strategico-militari, finalmente, nell’ottobre dello stesso anno, entra trionfalmente a Caracas, dove viene acclamato “El Libertador”, titolo con il quale passerà alla Storia. Nasce la seconda repubblica venezuelana che, come la prima, avrà vita brevissima (1813-1814). Un anno molto difficile per gli indipendentisti, che non riescono ad organizzarsi efficacemente contro le truppe governative e vengono sconfitte dagli uomini dei generali spagnoli Morillo e Bobes, che riconquistano il paese per la corona spagnola. Il Libertador questa volta è costretto ad andare in esilio all’estero, prima in Giamaica, poi ad Haiti. Se in Venezuela la causa dell’indipendenza sembra messa a tacere, Bolivar, dal canto suo, non abbandona affatto lotta. Da lontano organizza il suo ritorno in patria. Sul finire del 1816 sbarca a Margarita e si pone alla testa di un nuovo esercito di entusiasti patrioti. Qui emana un altro dei suoi proclami storici: stabilisce l’emancipazione degli schiavi, convinto che un paese in lotta per la libertà, non può contraddirsi ospitando nel suo seno il cancro sociale della schiavitù. Inizia quindi la marcia di liberazione del paese, riportando un’altra storica vittoria nella battaglia di Boyacá. Stabilisce quindi la capite provvisoria ad Angostura (oggi Ciudad Bolívar), dove nel 1819 convoca un Congresso che lo acclama entusiasticamente Presidente. Sempre inseguendo le sue visioni “unioniste”, Bolivar attraversa quindi le Ande (Campaňa Admirable), sconfigge le truppe realiste della Nuova Granada ed entra trionfalmente a Bogotà. Su pressioni dello stesso Bolívar, il congresso di Angostura, nel dicembre del 1819, elabora una nuova costituzione e crea la Grande Colombia, che comprende il Venezuela, la Colombia, il Panama e l’Ecuador. Le fondamenta costituzionali del progetto federalista tanto ricercato dal Libertador. Nel 1820 il governo di Ferdinando VII, che nel frattempo ha recuperato il trono dopo il crollo dell’impero napoleonico, riconosce il nuovo Stato della Grande Colombia.
Speranze perdute
Simón, come del resto aveva previsto, può ora cominciare a dedicarsi all’organizzazione dei territori liberati. Suoi ambasciatori si recano in Messico, Cile e Argentina per esporre il suo grande progetto di Federazione, di cui la Grande Colombia non è che il fulcro iniziale e di cui la città di Panama sarà la capitale. Nel 1822, dopo la vittoriosa battaglia di Pichincha, si unisce alle truppe del generale José de Sucre e libera l’Audencia de Quito (l’attuale Ecuador). In quello stesso anno ha luogo a Guayaquil l’incontro con l’altro grande condottiero e Libertador dell’America Latina, il generale José de San Martín, protagonista delle lotte per l’indipendenza del Cile e dell’Argentina, in vista della liberazione del Perù, l’ultimo bastione della presenza spagnola nel continente. Sul piano operativo la collaborazione tra i due Libertadores darà presto i suoi frutti. Nella decisive battaglie di Junín e Ayacuyo, in effetti, gli spagnoli saranno definitivamente sconfitti, il Perù liberato e cancellata la presenza coloniale di Madrid in America. Sul piano politico, invece, le rispettive visioni appaiono contrastare significativamente. San Martín non è del tutto contrario alla creazione di regimi monarchici con a capo dei principi europei. Bolívar dal canto suo reclama invece un’indipendenza totale dall’Europa, un regime repubblicano, con un presidente dotato di poteri forti e concentrati nelle sue mani. Nel 1825 gli ultimi colpi di coda del governo spagnolo, che si manifestano nell’alto Perù, vengono liquidati dagli uomini del Libertador e nasce la Repubblica di Bolivar (attuale Bolivia). Bolívar, dopo essere stato Presidente della Grande Colombia, del Venezuela, lo sarà anche del Perù e della Bolivia. Si conclude così, con un trionfo generalizzato, la “fase militare” del suo progetto unionista. Al successo del Libertador hanno contribuito anche diversi ufficiali italiani che hanno lasciato una impronta indelebile sulla scia bolivariana. Tra questi, il piemontese Carlo Maria Luigi Castelli, le cui spoglie si trovano oggi, insieme a quelle di Bolivar ed altri eroi dell’indipendenza venezuelana, nel Pantheon di Caracas.
Per il grande venezuelano è arrivato il momento di organizzare i nuovi stati per rinforzarne l’unità e modernizzare allo stesso tempo tutto il continente. E’ la fase “politico-costituzionale” del progetto bolivariano che, al contrario di quella militare, si rivelerà un drammatico fallimento.
In Bolivia il Libertador redige un progetto di costituzione applicabile, nelle sue vedute, anche a tutti gli altri paesi liberati. Emette anche una serie di decreti orientati verso una vera riforma sociale tesa proteggere gli indigeni, favorire l’istruzione, sviluppare il commercio e l’agricoltura, in una parola per far fare al paese passi da gigante sulla via del Progresso. La guerra non era stata che un mezzo per ottenere l’indipendenza: ora può cominciare la Rivoluzione. Per realizzare le sue visioni politiche e riforme sociali, Bolivar ancora una volta ricorre al suo vecchio padre spirituale, quel Simon Rodriguez che abbiamo incontrato a Roma, che tiene in grandissima considerazione. Entrambi, imbevuti dei principi dell’Illuminismo e dello spirito libertario della Massoneria, aspirano ad una grande trasformazione della società americana grazie all’istruzione, al lavoro e all’emancipazione sociale.
Ma il sogno di Simón Bolívar, di una America Latina unita, forte e moderna, é destinato ad infrangersi contro le forze della disunione, contro gli interessi degli oligarchi locali che cercano la propria indipendenza, contro i sentimenti degli antichi vice-reami e capitanerie spagnoli che rivendicano la propria fisionomia ed identità. D’altra parte il potere esercitato da Bolivar in maniera personalistica e poco incline al compromesso, suscita non pochi oppositori che, passata la fase dell’indipendenza, si mostreranno veri e propri nemici. Persino diversi generali del suo entourage si agitano, reclamando alla Grande Colombia quella stessa indipendenza che avevano ottenuto lottando contro la Spagna. Anche il Venezuela, sua madre patria, si rivolta al disegno unionista: Caracas si proclama del tutto indipendente, come progressivamente faranno tutti gli altri Stati liberati. Bolívar appare sempre più isolato nel suo sogno federalista e sempre più stanco, minato dalla tubercolosi che fa continui progressi. Profondamente afflitto dall’omicidio del generale Sucre (ucciso in un’imboscata dagli incerti mandanti) e dall’atteggiamento del governo venezuelano contrario al suo progetto, decide di rinunciare a tutti gli incarichi. Si illude allora di poter tornare per una terza volta in Europa ad abbeverarsi alle fonti dei principi democratici ed illuministi. Ma la morte lo sorprende a San Pedro Alejandrino, una hacienda vicino a Santa Maria, il 17 dicembre 1830. Ha appena 47 anni!
L’eredità bolivariana
Prima di morire aveva scritto ad un amico, disilluso e sconfortato : “Ho esercitato il potere durante vent’anni e ne ho tratto alcune conclusioni sicure. La prima è che l’America è ingovernabile per noi. La seconda è che colui che serve la rivoluzione ara il mare. La terza è che la sola cosa che si possa fare in America è emigrare…”
Triste conclusione della sua avventura umana e politica. Ma si sbagliava! Bolívar non aveva “arato il mare”. Era stato, come spesso succede ai grandi visionari, in anticipo sul suo tempo. Il Congresso di Panama, da lui promosso nel 1825, rappresentava senza dubbio una prima forma di integrazione latino-americana, un’esigenza ancora oggi fortemente sentita, se si pensa alle numerose iniziative lanciate negli ultimi anni per raggiungere l’obiettivo storico perseguito dal Libertador (UNASUR, MERCOSUR, CAN, ALBA, CARICOM, SICA ecc…). Ma evidentemente a Panama i tempi non erano maturi. Come pretendere, in effetti, che Stati, da poco affrancatisi dal potere spagnolo, rinunciassero, in favore di un’Unione federale, a quella sovranità che avevano appena cominciato ad esercitare? Ciò non toglie che le visioni di Bolivar fossero anticipatrici e andassero nella giusta direzione. Lo stesso Presidente americano Woodrow Wilson, nel suo indirizzo di saluto all’apertura dei lavori della Società delle Nazioni, farà riferimento al Congresso di Panama come modello cui ispirarsi per favorire la pace e l’armonia tra i popoli.
No, Bolívar non aveva arato il mare. Aveva invece seminato, in terreno fertile, la speranza di emancipazione politica e di riscatto sociale dei popoli sudamericani.
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15/09/2024Mostra tutto