Articolo - Come nasce la Royal Navy - La Flotta Tudor - Domenico Vecchioni
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 Durante tutto il periodo antico e medioevale le isole britanniche rimasero bloccate ai confini del mondo conosciuto, racchiuse in se stesse e costrette in orizzonti limitati. Il mare appariva  agli inglesi come un ostacolo insormontabile, un limite invalicabile, un formidabile elemento della natura da temere piuttosto che da sfruttare. In quell’epoca alla Britannia non si apriva alcuna prospettiva di espansione, né verso Sud, né in direzione Nord.  

        Il Mediterraneo, in effetti, era stato per secoli controllato da popolazioni italiane: Roma prima, le Repubbliche marinare dopo. Il commercio estero europeo veniva effettuato da carovane che si inoltravano fin nel cuore dell’Asia, in India e in Cina. Al ritorno, le preziose mercanzie venivano caricate su navi italiane che dai porti levantini facevano rotta verso Venezia, Genova, Amalfi, Pisa. I mari del Nord, d’altra parte, erano dominio incontrastato delle genti germaniche e in particolare della Lega Anseatica che esercitava un implacabile monopolio commerciale, non solo nelle acque del Baltico, ma anche nella stessa Manica, “consentendo” agli inglesi unicamente l’esportazione di lana greggia per le floride industrie fiamminghe. 

     In tale quadro di riferimento storico-politico-commerciale viene spontaneo chiedersi che cosa abbia determinato il mutamento dell’Inghilterra pastorale in quella marinara. Attraverso quali vie, insomma, si è realizzata la trasformazione della “Piccola isola” nella “Signora dei mari”, la metamorfosi di timorosi contadini in audaci naviganti?

      Volendoci limitare alle cause più appariscenti, dovremmo concentrare la nostra attenzione su tre avvenimenti di eccezionale portata storica: la scoperta dell’America e le conseguenti nuove rotte oceaniche, la spinta innovatrice del Rinascimento e l’azione personale dei sovrani Tudor.

      Il Nuovo Mondo offriva agli inglesi prospettive insperate, il loro paese si ritrovava posto improvvisamente al centro dei traffici mondiali e si rivelava indispensabile anello di collegamento Est-Ovest. Il Mediterraneo intanto scadeva a centro minore di scambi data la nuova situazione geopolitica, mentre le Repubbliche marinare iniziavano il loro lento e inarrestabile declino, dovuto anche alla perdita degli scali in Medio Oriente caduto in mano ai turchi e alla inadattabilità delle galere mediterranee per le lunghe e perigliose traversate oceaniche. Anche la Lega anseatica del resto era scossa da fremiti di crisi: l’Inghilterra si mostrava sempre più insofferente alle limitazioni commerciali e tendeva a sviluppare una sua industria tessile. Allo stesso tempo le pulsioni e le tensioni nazionalistiche cominciavano ad indebolire le fondamenta dell’edificio medioevale, fatto di confederazioni di Città indipendenti, per far posto agli emergenti Stati unitari. 

     La lotta per l’egemonia marittima quindi si sarebbe combattuta tra Francia, Spagna, Portogallo e Inghilterra, paesi cioè che stavano completando un processo analogo di unificazione nazionale e che si affacciavano sulle acque oceaniche diventate la strada maestra degli scambi commerciali.  

     La Francia peraltro abbandonò presto la partita per dirigere i suoi sforzi espansionistici piuttosto in Europa, verso il Reno, al di là delle Alpi. Il Portogallo,  dal canto suo,  dopo i primi stanziamenti in Atlantico, volgeva sempre più spesso le sue linee di penetrazione in direzione della coste africane e dell’Oriente. In definitiva rimasero in concorrenza per il controllo dell’Atlantico, almeno durante il XVI secolo, Spagna e Inghilterra. 

      Una competizione aspra e impegnativa, il cui esito non sarà determinato da una più o meno propizia situazione geografica, quanto piuttosto da una diversa impostazione politica, da una migliore assimilazione dello spirito innovatore del Rinascimento e da un nuovo metodo di guerra navale.  Se l’Invincible Armada fu messa in fuga dalle bordate di Drake, ciò fu dovuto oltre che ai venti favorevoli e alla abilità dei marinai inglesi, anche a una maggiore consapevolezza dei tempi nuovi da parte di Londra e a una rivoluzionaria tattica navale di cui i sovrani Tudor  furono convinti fautori e sostenitori.

    Enrico VII , l’iniziatore della dinastia, salito al trono nel 1485 dopo aver sconfitto Riccardo III nella celebre battaglia di Bosworth Field, fu il primo re inglese ad abbandonare la tradizionale politica di basare la stabilità del trono sull’appoggio della nobiltà terriera, iniziando, invece, una fruttuosa ed intensa collaborazione con la classe mercantile da cui scaturirà una forte borghesia con interessi quasi esclusivamente commerciali. Egli quindi favorì in tutti i modi lo sviluppo del commercio, facendo in particolare capire ai suoi sudditi che il mare può riservare immensi benefici, sapendone scoprire i segreti e le potenzialità.  Enrico VII per la verità non fu un grande costruttore di navi della Corona, come invece lo sarà suo figlio Enrico VIII. Egli tuttavia si rese chiaramente conto dell’importanza delle navi come strumento di penetrazione economica, incoraggiando fortemente proprio il commercio marittimo per far uscire le isole britanniche dall’isolamento medioevale.  Diede così vita allo Ship Building Bounty, l’appoggio ufficiale dello Stato alla creazione di una vera e propria Marina mercantile. Scopo dichiarato del re era quello di favorire la costruzione di grosse imbarcazioni che, possedendo una larga autonomia ed un adeguato spazio di carico, avrebbero reso utili sempre più consistenti. Le prime scoperte effettuate dagli inglesi (celebri quelle dei “veneziani di Bristol”, Giovanni e Sebastiano Caboto) non erano dettate da nobili ideali diretti a svelare le meraviglie della Terra, ma tendevano piuttosto alla ricerca di cose molto più concrete: materie prime, ricchezze naturali e in prospettiva… nuovi mercati per l’esportazione. 

      La prima conseguenza della costruzione di navi di ampie dimensioni fu l’ampliamento dei cantieri navali e l’edificazione a Portsmouth del primo bacino di carenaggio asciutto del paese,  dove potere alzare a secco le navi e controllarne minuziosamente la carena in tutte le sue parti, per riparazioni ben più ampie di quelle consentite dai bacini precedentemente in uso. Il significativo sviluppo della flotta mercantile, la crescente intraprendenza dei commercianti, l’audacia dei marinai ed esploratori inglesi, diedero a Enrico sufficiente status politico e forza negoziale per concludere vantaggiosi accordi commerciali (in particolare il Magnus Intercursus  e il Malus Intercursus - così detto dagli olandesi che si ritenevano danneggiati) attraverso i quali rompeva il monopolio anseatico e stabiliva le prime basi dell’industria tessile nazionale.   

      Per quanto riguarda in particolare la flotta regia, va precisato che sul piano tecnico non furono introdotte novità rivoluzionarie. Le quattro navi che Enrico VII fece costruire per la Corona erano ancora troppo pesanti e difficili da manovrare: si trattava sostanzialmente di “castelli galleggianti”, secondo la tipica concezione medioevale, armate solo per speciali occasioni. Non venivano cioè utilizzate per difendere le coste, né per controllare il mare, né per combattere, ma piuttosto per il commercio, la pesca, il trasporto ed erano anche noleggiate ai mercanti che ne facevano richiesta. 

       Una confusione di funzioni tipiche della Marina inglese medioevale, dove non si riscontrava una netta distinzione tra navi da guerra e mercantili: un solo tipo di imbarcazione veniva usato per tutte le circostanze. Non esisteva insomma l’idea della presenza navale permanente  nei porti. In caso di guerra il re poteva certo pretendere la disponibilità delle navi dei sudditi per assicurare il trasporto di uomini e armi, unica funzione di guerra della nave medioevale inglese. Ma si trattava di situazioni contingenti: passato il pericolo, le navi tornavano ad essere utilizzate per le loro funzioni commerciali. Esse avevano in genere una lunghezza pari a due volte la larghezza ed erano appunto chiamate round-ships. I costruttori dell’epoca erano convinti che, con il mare agitato, lo sforzo maggiore si concentrasse nel centro della imbarcazione, rimanendo spesso lo scafo in bilico sulla cresta dell’onda con le due estremità senza sostegno. Bisognava, quindi, rinforzare quello che era considerato il punto più debole della struttura. 

       In caso di crisi, il re, come detto, ordinava la requisizione delle navi disponibili che erano trasformate in mezzi da combattimento. Temporanee strutture in legno venivano erette a prua e a poppa per la protezione dei combattenti (i cosiddetti castles). A bordo poi si caricavano le stesse armi usate negli scontri terrestri: archi, frecce, alabarde, ancorette, ecc… In effetti lo scontro tra due navi assumeva aspetti più di combattimento “terrestre” che propriamente “navale”, sviluppandosi dopo il classico abbordaggio come su un campo di battaglia. 

     A seguito della requisizione ordinata dal sovrano in caso di eventi bellici, a bordo  salivano gli ufficiali combattenti che assumevano immediatamente il controllo della nave ed in genere appartenevano ad una classe sociale più elevata di quella dei naviganti. Sulle navi medioevali predisposte per la guerra coabitavano, quindi, due diversi gruppi di uomini: i “marinai non combattenti” e i “combattenti non marinai”. Il loro coordinamento all’evidenza non sempre era agevole. Un’organizzazione piuttosto confusa che sarà significativamente rivista da Enrico VIII, il quale porrà fine a tale separazione, riunendo in una stessa persona le funzioni di marinaio e di combattente.

     Se il primo contributo Tudor allo sviluppo della flotta inglese fu prevalentemente marittimo, il secondo sarà esclusivamente navale. Se Enrico VII fu essenzialmente un uomo del medioevo che cercava di interpretare i segnali di un mondo che stava cambiando, Enrico VIII - suo secondogenito, salito al trono nel 1509 – ebbe una mentalità decisamente rinascimentale, dinamica, volta al mutamento. Egli fu l’interprete dello spirito riformatore e delle tendenze in atto verso lo Stato nazionale che porteranno l’Inghilterra ad allentare progressivamente i suoi legami con l’Europa per seguire nuovi destini sulle rotte oceaniche. 

     Londra abbandonò di conseguenza la prudente politica dell’”equilibrio delle potenze” (Balance of Powers ) perseguita dal cardinale Wolsey per seguire quella rinascimentale e sotto certi aspetti rivoluzionaria del secondo sovrano Tudor, desideroso di assicurare al suo paese completa autonomia da Roma e piena libertà di movimento negli oceani. 

     Enrico VIII si rendeva conto che la reazione degli Stati cattolici e feudali sarebbe stata inevitabile ed era altresì consapevole che l’esercito inglese, ancora in gestazione, non aveva alcuna possibilità di resistere alla perfetta organizzazione delle armate spagnole o alla violenza dei fanti francesi. Occorreva quindi fermare il nemico prima che avesse la possibilità di sbarcare sul suolo inglese: spunta quindi nella sua mente l’idea della Royal Navy, una flotta cioè desinata esclusivamente al combattimento. Un’idea per l’Inghilterra del tutto originale, dove non si ritrovava alcuna traccia di quella duplice funzione che fino ad allora era stata affidata alle navi reali: commercio e sua difesa armata. 

     Si sviluppò così una costante specializzazione della nave da guerra, soprattutto con la creazione del cannone pesante ad avancarica, risultato degli straordinari progressi registrati dall’artiglieria in quegli anni, che determinò inevitabilmente una diversa struttura della nave e un’inedita tattica nella guerra navale.

    Finché, in effetti, i pezzi d’artiglieria imbarcati sulle navi erano stati abbastanza leggeri, i “castelli” avevano assolto sufficientemente  il loro compito di copertura e di protezione. Con i nuovi mezzi da combattimento disponibili, la situazione invece cambiava radicalmente e richiedeva inedite soluzioni. La debole struttura dei castles insomma non era più in grado di assicurare la protezione, né di contenere il forte rinculo di cannoni che pesavano ormai diverse tonnellate ciascuno. Dove sistemare allora le nuove, pesanti ed ingombranti armi? 

    Sotto le pressanti insistenze di Enrico VIII, entusiasta dei nuovi prodotti dell’artiglieria che voleva assolutamente a bordo, gli architetti reali si decisero a tralasciare le radicate tradizioni medioevali riguardanti la “sacra fiancata” considerata “intoccabile”. Sistemarono quindi i cannoni nell’unico ponte continuo che le navi-rotonde possedessero, cioè quello di coperta. Conseguenza inevitabile della nuova sistemazione fu l’apertura di portelli  per permettere appunto ai cannoni di sparare.  

     Senza saperlo gli architetti di Enrico avevano rivoluzionato la guerra sul mare. Con l’apertura dei portelli le navi oramai potevano perdere o vincere un battaglia  senza necessariamente venire a contatto. Nasceva un elemento tattico fino ad allora sconosciuto, la portata, che segna in pratica la linea di demarcazione tra le vecchia guerra navale (che in realtà, come abbiamo visto, era più terrestre che navale)  e la nuova.  

     Enrico VIII inoltre aggiornò e razionalizzò tutta la gestione della Royal Navy dal punto di vista politico e amministrativo, avviando anche il superamento di quella distinzione tra combattente e marinaio che aveva caratterizzato nei secoli precedenti la flotta medioevale. L’elemento portata rendeva in effetti inutile l’impiego dei fanti di mare. La loro funzione, con l’abolizione dei “castelli”, si era totalmente esaurita. Tutto ora ruotava intorno ai potenti strumenti dell’artiglieria e i “marinai” si rivelavano le persone più adatte per gestire tale tipo di attività, sia perché conoscevano bene i movimenti delle piattaforme dove erano installati i cannoni, sia in quanto sopportavano il mare molto meglio dei fanti che salivano a bordo solo occasionalmente.  

      Analogo processo riguardò gli ufficiali, anche se per un certo periodo rimasero al loro posto “marinai” e “combattenti”. Ma nella nuova organizzazione della nave l’ufficiale cannoniere  (che era un “marinaio”) acquistò sempre più importanza rispetto agli altri ufficiali “combattenti”, determinando alla lunga un fenomeno di amalgamazione sia tra le funzioni sia tra le classi sociali alle quali i vari ufficiali appartenevano.

      Dopo le riforme e gli ammodernamenti introdotti dal padre di Elisabetta, le navi da guerra, in vista della battaglia, si posizioneranno secondo la formazione detta “linea di fila” (line ahead), in pratica una nave dietro l’altra, per scoprire il più possibile il lato della nave diventato l’elemento più importante della tattica navale. In precedenza, invece, si era sempre combattuto secondo la formazione detta “linea di fronte” (line abreast) con le navi cioè che avanzavano, fianco a fianco, su un unico grande fronte per la protezione dei remi e con l’obiettivo di schiantarsi sul nemico in un solo colpo e grande velocità.

       Enrico VIII fu senza dubbio un grande costruttore di navi. Ne possedette circa 90, contro le 4 di suo padre! Navi di diverse dimensioni e tonnellaggio, che andavano dalla famosa Henri Grâce à Dieu (“Great Harry”), di mille tonnellate, alla piccola Hare, di trenta. Insomma  il primo, consistente nucleo della Royal Navy. Ci si può peraltro chiedere dove il secondo sovrano Tudor trovò i capitali necessari a sostenere l’onere dello straordinario incremento nella costruzione navale. La risposta è relativamente semplice e va ricercata nella politica Tudor nei confronti della Chiesa Cattolica: egli trasformò la Chiesa in Inghilterra nella Chiesa d’Inghilterra, incamerando i diritti, le risorse, le prerogative che le erano state riconosciute da tempo immemorabile. Le immense proprietà possedute dagli ordini religiosi furono irrimediabilmente espropriate e rivendute a privati con immensi profitti utilizzati anche per finanziare…la nascente Royal Navy!

        Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e Anna Bolena, salì sul trono nel 1558, dopo due brevi periodi transizione con i regni di Edorado VI (1547) e di Maria I (1553), durante i quali la Royal Navy, avviata negli anni precedenti, non solo non fu trascurata, ma anzi importanti somme furono stanziate in suo favore. Nessuna nave reale fu venduta e le migliori unità furono impiegate contro la Francia per mantenere l’ultimo baluardo inglese d’oltremanica: Calais. I francesi per la verità ottennero nell’occasione una meritata vittoria. Ma per gli inglesi pur tuttavia l’episodio non venne visto sotto una luce negativa, simboleggiando il definitivo distacco di Londra dall’Europa: il paese entrava nella grande era elisabettiana.

       In Elisabetta I rivissero lo spirito commerciale del nonno e l’intraprendenza politica del padre. Da una parte, infatti, l’ultima sovrana Tudor diede nuovo alito all’alleanza tra corona, mercanti e marinai (soprattutto i famosi “corsari della regina”), cercando di ricavarne il meglio per il paese intero, dall’altra si preparò lentamente ma costantemente alla guerra contro la rivale di sempre, la Spagna.  

       Negli affari marittimi in particolare si registrò una sorta di capovolgimento dei ruoli nei rapporti sovrano/naviganti/commercianti. Mentre, cioè, con Enrico VII era stato il re ad insegnare ai sudditi il commercio marittimo, facendo loro capire ed apprezzare i profitti che il mare può dare. Con Elisabetta I invece erano i sudditi, ormai esperti commercianti e provetti marinai, che richiedevano alla regina sussidi e incoraggiamento per sviluppare le loro attività e tentare nuove imprese. Elisabetta seppe in definitiva cogliere in pieno l’importanza politica di una tale collaborazione e fu abilissima nello “strumentalizzarla” per ricavarne il miglior risultato possibile per il paese, per la “nazione”.

       In politica estera il suo principale obiettivo fu la distruzione del monopolio commerciale spagnolo sulle rotte oceaniche. Le possibilità per l’Inghilterra di sopravvivere e progredire erano, in effetti, legate al superamento della divisione del mondo fatta dal Papa Alessandro VI (Bolla Inter Coetera per regolare i rapporti tra Spagna e Portogallo).  Ma Elisabetta, con le sue magre risorse finanziarie (il cruccio di tutta la sua vita!), non era certo in grado di affrontare direttamente il gigante spagnolo. Per anni quindi si limitò a provocare Filippo II indirettamente, incoraggiando le imprese dei suoi corsari. Così, per il perseguimento dei propri obiettivi e per far fronte alla reazione spagnola che prima o poi si sarebbe manifestata,  la “Vergine di ferro” dovette ricorrere al sentimento nazionale che in quegli anni si stava definitivamente affermando in Inghilterra. 

    Con Elisabetta I, in effetti, l’individualismo cominciò a mescolarsi col nazionalismo, i pirati (briganti del mare) diventarono corsari ( autorizzati alla “guerra da corsa” dalla stessa regina) e i corsari si trasformarono in patrioti (combattenti per la causa comune). L’interesse privato, insomma, iniziò ad accompagnare i grandi ideali in un rigoglio di aspirazioni diverse ma tutte dirette verso un unico risultato finale: la nascita di una grande nazione.

    La regina peraltro non si limitava a compiacersi dei successi dei “suoi” corsari, ma investiva anche importanti capitali nelle loro imprese, partecipando agli utili dei bottini strappati agli spagnoli o dei tesori riportati  da terre sconosciute e mari lontani.  I corsari insomma avevano la sensazione di servire obiettivi nazionali, pur salvaguardando i propri interessi. Un’irripetibile classe di straordinari naviganti e, allo stesso tempo, di audaci protagonisti della guerra da corsa contro la Spagna consentì a Elisabetta I di ridimensionare drasticamente le ambizioni imperiali di Filippo II e di  alimentare un’istintiva fiducia degli inglesi nella loro Royal Navy. Nomi oramai leggendari: da John Hawkins, che spezzò il monopolio commerciale spagnolo in Africa a Francis Drake, che fece il giro del mondo, passando attraverso lo Stretto di Magellano, e riportò in patria un bottino di straordinario valore (con un profitto, si dice, di circa il 500% del capitale investito…). Da Martin Frobisher e John Davis, che cercarono il celebre passaggio a Nord-Ovest a Walter Raleigh, che fondò la prima  colonia inglese nel Nord America, la Virginia, in onore appunto di Elisabetta che mai si decise a prendere marito. Da Humphrey Gilbert, che riprese possesso in nome della regina della Baia di Terranova, a Thomas Cavendish che effettuò la seconda (dopo Drake) circumnavigazione del globo…

      Tutti uomini che furono senza esitazioni accanto ad Elisabetta nel momento del supremo pericolo per il paese, quando Filippo II di Spagna, per farla finita con le continue “punture di spillo” che gli infliggevano gli inglesi, decise di invadere le isole britanniche raggruppando un immenso corpo di spedizione (130 navi, 30.000 soldati), tanto possente ed imponente da essere subito soprannominato Invincible Armada. Invincibile forse nelle visioni di Filippo, ma non per i corsari della regina portatori di una tattica navale avanzata  e di una organizzazione della flotta molto più moderna di quella degli spagnoli legati ancora a schemi decisamente medioevali…. Come dimostrò Francis Drake, una sorta di ufficiale della Royal Navy ante-litteram e  primo grande esperto di strategia navale. 

     Se Enrico VIII aveva voluto una flotta in grado di impedire lo sbarco di truppe straniere sul territorio inglese,  Drake andrà molto più in là, asserendo la necessità di distruggere il nemico prima ancora che potesse muoversi dai porti di partenza. A dimostrazione della sua tesi, nel luglio del 1588, il corsaro preferito dalla regina immaginò un’audace sortita nel porto di Cadice per distruggere sul nascere i preparativi dell’armada spagnola. Ma complicazioni politico-burocratiche ritardarono il suo progetto e l’autorizzazione a procedere gli arrivò troppo tardi, quando le navi di Filippo II erano già salpate alla volta delle isole britanniche. Se avesse potuto agire secondo i suoi piani, probabilmente l’armada non sarebbe mai partita…

        Il disastro finale degli spagnoli, come si sa, fu dovuto in parte a fattori atmosferici avversi e in parte alla abilità dei marinai inglesi che utilizzavano navi molto più veloci, con cannoni dalla portata più lunga ed erano comandate dai navigatori più esperti del momento. Ma sulla bilancia pesarono anche i gravi e numerosi errori compiuti da Madrid.                   Innanzitutto per Filippo lo scopo fondamentale della spedizione era il trasporto  delle truppe da sbarco per l’invasione dell’Inghilterra e quindi i comandanti spagnoli cercavano di evitare a tutti i costi il combattimento navale  con gli inglesi i quali invece, per ragioni opposte, lo ricercavano. Drake costrinse più volte il Comandante in capo della spedizione, Medina Sidonia (un ufficiale di terra, non un marinaio!), a battersi sul mare con tutte le negative conseguenze per gli spagnoli che, a parte una diecina di navi da combattimento, navigavano su grossi e lenti velieri, armati per l’occasione  (secondo il metodo medioevale). Particolarmente abile fu Drake quando spinse la flotta spagnola a rifugiarsi in una baia nelle vicinanze dell’isola di Wight, dove l’unica possibilità di resistenza per Sidonia consisteva nell’invasione dell’isola stessa. Circostanza che gli inglesi riuscirono ad evitare con rapide e audaci incursioni notturne. Gli spagnoli furono quindi costretti a riprendere l’alto mare, dove Francis Drake, al comando della mitica Revenge e al comando dei suoi migliori ufficiali, compì autentiche prodezze marinare, soprattutto al largo di Calais e Gravelines. 

        Medina Sidonia inoltre aveva commesso errate previsioni di calcolo sugli approvvigionamenti di materiale e munizioni per una flotta così imponente e costretta ad operare così lontano dalle sue basi. Il morale a bordo delle navi spagnole d’altra parte non era molto alto. Vi regnava in effetti ancora la vecchia distinzione tra “combattenti” e marinai”, il che causava spesso screzi e rivalità, aggravati peraltro dal fatto che gli equipaggi erano composti di uomini di varie nazionalità (molti italiani), parlavano lingue diverse, spesso non si capivano tra di loro, difficili quindi da gestire e da coordinare. Al contrario il morale degli inglesi, che nell’arte marinara e nel maneggio delle navi si rivelarono di gran lunga superiori, era eccellente vigendo una buona armonia a bordo, dove i combattenti non si opponevano più ai marinai: tutti inglesi, tutti uniti in un comune sforzo contro un nemico che minacciava la nazione, una nazione che si identificava con Elisabetta I, la regina che per anni aveva incoraggiato, appoggiato e finanziato la guerra corsara.    

      Gli episodi di quel fatidico 1588 consolidarono la tradizione della Royal Navy, alla quale il popolo britannico rimase sempre appassionatamente legato e dimostrarono  come  Londra possedesse tutte le qualità per dominare il mare e scoprirne i segreti.

     I Tudor costruirono le premesse che, secondo un’ordinata sequenza storica,  consentiranno successivamente alla Gran Bretagna di diventare il paese più potente del mondo. 

    Con Enrico VII gli inglesi impararono il commercio marittimo, con Enrico VIII scoprirono nuovi metodi di combattimento navale, con Elisabetta I capirono l’importanza di difendere con le navi il commercio, alimento della nazione e sostegno dell’Impero.

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Come nasce la Royal Navy

La Flotta Tudor


Giornale/Rivista: Rivista Marittima
Uscita: 01/10/2012

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