Articolo - Le due vite del presidente - Mao Tse Tung - Domenico Vecchioni
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        Un filo conduttore sembra legare i dittatori sotto qualunque cielo e a qualunque latitudine essi si trovino ad operare. Un filo trapuntato di lampi di lucida follia che indubbiamente è presente, in forme diverse, in ogni esercizio del potere assoluto. Forse perché è lo stesso potere assoluto a corrompere gli animi e a rendere folli? O forse perché sono i folli che, nelle loro visioni dottrinarie e illuminate, sono spinti più di altri verso il potere senza limiti? Difficile rispondere.

   Tuttavia è certo che, tra le tanti similitudini di comportamento e di finalità che accomunano i dittatori, vi è anche la sindrome del distacco progressivo dalla realtà. Una malattia politica  incurabile, che convince l’illuminato di turno come tutto possa e debba essere sacrificato alla sue visioni e ai suoi parametri ideologici. Insomma, non è la struttura del potere che deve adattarsi alle esigenze del popolo, ma piuttosto il contrario. E’ il popolo che deve sopportare qualsiasi sofferenza affinché il Capo supremo possa realizzare i propri sogni e dare contorni reali alle proprie ossessioni. A qualunque costo. 

     Inevitabilmente si crea una dicotomia crescente tra la figura pubblica del dittatore, spesso osannato come un’icona, un mito, un essere superiore e la sua vita privata, non di rado invece particolarmente abietta, proprio perché sono svaniti i freni inibitori connessi alla comune convivenza civile, è venuto meno il contatto con realtà, si è creata una barriera invalicabile tra i cortigiani di turno e il popolo sofferente. Tutto al dittatore pare consentito con l’esercizio del potere assoluto che finisce, come diceva Montesquieu, “per corrompere assolutamente”.

    Mao Tse Tung è probabilmente  uno dei casi più emblematici. Se la sua immagine pubblica di salvatore della patria rifletteva i lineamenti di un uomo saggio, calmo, sereno, degno, eroico, intriso di bontà e amato da tutti, in privato Mao si comportava da debosciato senza scrupoli, cinico, senza alcuna commiserazione per le sofferenze che infliggeva ai suoi collaboratori.

    Almeno questo è il ritratto che dipinge di Mao il suo medico personale, Li Zishiu, in un monumentale libro di memorie, uscito diversi anni fa, un best-seller mondiale  - ma stranamente mai tradotto in Italia! - “The pivate life of Chairman Mao” (Random House). Il dr. Li ha seguito le vicende sanitarie del Presidente cinese per oltre un ventennio e quindi ha avuto modo di conoscerlo nella sua profonda intimità, nei suoi momenti di depressione e nelle sue umane debolezze. Uno straordinario testimone che ci rivela un Mao Tse Tung del tutto diverso da quello che siamo abituati a conoscere. 

      Per Li la pretesa semplicità di Mao non era, in realtà, che il lusso supremo derivante da un potere gestito in maniera imperiale, che gli permetteva di vivere al di sopra di tutte le regole e le convenzioni sociali, al di sopra della stessa legge.  Come un vero imperatore cinese, privo di interesse per tutto ciò poteva riguardare il popolo, entità astratta, lontana e informe. Così, mentre la propaganda ufficiale dell’epoca auspicava per la Cina rivoluzionaria costumi abbastanza puritani offerti sull’altare della nuova ideologia, l’attività sessuale, intensa e variegata, aveva un posto centrale nella corte del dittatore. Nel palazzo dell’Assemblea del popolo Mao disponeva  di un appartamento dove rilassarsi a dovere anche durante le lunghe riunioni del Comitato Centrale.

    Racconta Li che donne giovani, belle e vergini, gli dovevano essere servite à la carte, come cibo, scelte, selezionate e pronte ad essere consumate nel momento più propizio. Venivano individuate non solo in base alla loro bellezza, ma anche per la loro solidità ideologica e la loro predisposizione a sentirsi onorate di passare una notte nel letto del mito fatto persona. Andavano gioiosamente a costituire una sorta di harem magico del sultano. Quando Mao si stancava di una concubina, questa veniva adeguatamente sistemata  (spesso dopo essere stata reclutata dai servizi segreti), sposando collaboratori del Presidente o funzionari del partito ben piazzati. Abbagliate da tanto onore, le prescelte successivamente non esitavano a convincere amiche e sorelle a presentarsi a corte, dove il Presidente esercitava con grande diletto un principesco ius primae noctis. La frenetica attività sessuale del Grande Timoniere derivava anche dalle sue forti convinzioni taoiste, secondo le quali più si è sessualmente attivi, più si è longevi. Il sesso, insomma, per i taoisti allungava la vita. E Mao evidentemente voleva diventare molto vecchio…Il suo insaziabile appetito sessuale  – precisa il dr Li – non si limitava peraltro alle donne. Anche i suoi più stretti servitori dovevano essere belli e vigorosi e avevano il compito di massaggialo la sera per aiutarlo a prendere sonno. Un massaggio che, secondo precise indicazioni di Mao, doveva arrivare fino al “basso ventre”. Tuttavia,  aggiunge Li, non bisogna credere che si trattasse di una tendenza omosessuale. No, era solo la  manifestazione dell’incredibile desiderio di Mao per il sesso in tutte le sue forme.

   Altro mito che sfata il dr. Li riguarda la frenetica attività lavorativa di Mao. Contrariamente a quanto voleva far credere la mitologia ufficiale, che raffigurava un Presidente attivo, dinamico e sempre impegnato a risolvere i problemi del paese, Mao passava gran parte del suo tempo a letto o disteso sul bordo della sua piscina privata, rimanendo per giorni interi senza vestirsi e uscendo dal torpore di una sorta di esistenza allo stato brado unicamente per impegni internazionali o eventi diplomatici.

       Al di sopra di qualsiasi regola, Mao non si lavava mai né si faceva mai la doccia, preferendo farsi strofinare tutto il corpo dai suoi vigorosi assistenti con asciugamani caldi e umidi. Non si lavava nemmeno i denti, seguendo una vecchia tradizione contadina. Per l’igiene orale, Mao ricorreva alla masticazione mattutina di foglie di tè:“Una Tigre non si lava di denti”. Così i suoi denti apparivano ricoperti di una patina verde e il suo alito non doveva risultare particolarmente gradevole ai suoi prossimi interlocutori… 

     La sua poca pulizia peraltro metterà in difficoltà al dr. Li che non riuscirà a circoscrivere un’epidemia di infezione ginecologica (triconoma vaginale) diffusasi tra le numerose concubine del Grande Timoniere, portatore sano del virus. Noncurante dei danni provocati, Mao rifiutava di farsi curare in una visione elitista della vita e degli uomini. Li si sentì replicare, alle sue insistenze di curare la malattia del Presidente: “Se a me non da fastidio, vuol dire che non importa”! 

      La frugalità e la semplicità vantate dal regime erano precetti validi unicamente per il popolo. In effetti in ogni Provincia il segretario locale del partito comunista aveva fatto costruire una splendida villa destinata ad ospitare il Primo Segretario, che doveva spostarsi continuamente, certo per ragioni di sicurezza, ma soprattutto a causa  della paranoia di cui soffriva nell’eterno timore di essere tradito dai suoi. La villa preferita si trovava su una piccola isola del Fiume delle perle, incantevole rifugio di pace e di tranquillità, dove Mao poteva gustare i suoi legumi preferiti specialmente trasportati ogni mattina via aerea da Pechino… 

    Il potere pieno, assoluto, amministrato senza la minima concessione democratica, non poteva alla fine non influenzare la salute mentale e fisica del Grande Timoniere nonché le sue relazioni umane e, di conseguenza, le sorti del paese e del mondo. Vivendo già in una sorta di paradiso terrestre, dove tutti i suoi desideri venivano facilmente realizzati, come poteva dubitare Mao dell’avvento del paradiso comunista? Cosa poteva importare al Grande Timoniere, depositario supremo del destino di più di un miliardo di sudditi, se alcuni milioni di “nemici di classe”, che per i maoisti non avevano nemmeno lo status di esseri umani,  dovevano essere sacrificati per l’affermazione definitiva de marxismo-leninismo (il Grande Balzo in avanti) e per la creazione di un modello di socialismo superiore a quello dell’Unione Sovietica (la Rivoluzione Culturale)? Ben poco, evidentemente. Il distacco dalla realtà era totale.

   Persino la corruzione – la bestia nera dell’odiato regime capitalista – era ben presente nell’entourage del Presidente Mao, il quale non l’ignorava e in qualche modo lasciava fare avendo bisogno di collaboratori soddisfatti ed efficaci. “I pesci - soleva dire - non possono sopravvivere nell’acqua pura”. Il Grande Timoniere, in effetti, amava nuotare in acque inquinate e camminare sul letame.

  Certo quella del dr Li non si può considerare una “biografia politica” di Mao, ma  solo una testimonianza di chi, avendogli  vissuto accanto per ventidue anni, riferisce scrupolosamente ciò che ha visto e ciò che ha sentito. Un testimonianza tuttavia sincera, preziosa e documentata, che aiuta a interpretare meglio le visioni del dittatore Mao, a ridimensionarne il mito, a svelarne le paranoie rivoluzionarie attraverso le sue debolezze umane e le sue carenze personali.

 

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Il medico di Mao

Il dottor Li Zhisui, autore del best seller internazionale The private life of Chairman Mao:The Memoirs of Mao’s Personal Physician (1994), nacque a Pechino nel 1919 e morì nell’Illinois nel 1995. Fervente ammiratore di Mao, ne fu il medico personale durante 22 anni. Dopo la morte del Grande Timoniere (1976), riuscì ad emigrare negli Usa, non senza aver subito numerose sessioni di “rieducazione”. Scrisse la sua testimonianza per esoriczzare una profonda delusione politica e personale: aver assistito alla progressiva trasformazione di un Capo carismatico in un dittatore cinico e libidinoso.

Appartenente ad una famiglia di antica tradizione medica, Li nel 1947, subito dopo la laurea, emigrò in Australia per perfezionarsi in chirurgia. Nel 1949, all’avvento della Repubblica Popolare Cinese, ricevette dal vice-ministro della salute un invito - che subito accettò - a rientrare in patria per lavorare nel nuovo contesto rivoluzionario. Appena tornato, venne assegnato ad un ospedale operante sotto il diretto controllo del comitato centrale del partito comunista. Il dr Li lavorò con grande impegno e sicura professionalità. Venne quindi molto favorevolmente valutato e nel 1952 fu ammesso - supremo riconoscimento di affidabilità – al partito. Era in effetti diventato un medico molto competente e rispettato per il suo preciso orientamento politico. Nel 1954, dopo essere passato al vaglio di vari livelli di controllo, fu finalmente nominato medico personale di Mao e capo dell’equipe medica del Presidente. Da quel momento sarà la servizio di Mao 24 ore al giorno, senza avere più una vita personale, senza potere immaginare altre scelte professionali, senza nemmeno poter vedere quanto avrebbe voluto sua moglie Lilian.

  Cominciava la stupefazione di Li nel constatare le bizzarrie di Mao il quale, tanto per cominciare,  non seguiva alcun orario regolare per mangiare e per dormire. Il giorno e la notte non facevano alcuna differenza per lui. I suoi incontri pubblici e privati erano organizzati secondo i suoi capricci del momento. E per Li non mancheranno ulteriori sorprese nello scoprire “l’uomo” Mao… 

        Nel 1994 venivano pubblicate le sue memorie, che ebbero vastissime ripercussioni in tutto il mondo. Il professor Andrew Natan, docente di Scienze Politiche alla Colombia University, scrisse: “Nessun racconto ‘non autorizzato’ fornisce un ritratto che ci suona così vero come quello del dr. Li. E’ senza dubbio il libro più rivelatore che sia mai stato scritto su Mao”.

 

 

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Jiang Qing, la vedova di Mao e la banda dei quattro

     Il Grande Timoniere avrà con la sua quarta moglie, Jiang Qing (1914-1991), rapporti costantemente tempestosi, tra la divorante ambizione di Jiang - osteggiata dal Bureau del comitato centrale - che aspira ad svolgere un significativo ruolo politico e la vita sessuale senza freni di Mao, che non risparmia alla legittima consorte tradimenti a catena e umiliazioni di vario genere.

   Jiang è una mediocre attrice di cinema, dal fisico assai gradevole, animata da una fortissima voglia di riuscire, di emergere in qualunque settore.  Nel 1937 arriva fortunosamente a Yanan, la base delle forze comuniste costituita a conclusione della Lunga Marcia. Qui si impegna per sedurre Mao, riuscendoci molto agevolmente. Il futuro Grande Timoniere divorzia dalla terza moglie in vista del matrimonio con Jiang. Tuttavia c’è una condizione posta dal Bureau politico che lo stesso Mao si impegna a rispettare: la quarta moglie dovrà astenersi  da qualsiasi attività politica pubblica. Jiang è molto delusa, non è ciò che si aspettava. Ma è pur sempre diventata la first lady e poi potrà rifarsi col tempo. Dopo il Grande Balzo in avanti (1958/1959), che causerà trenta milioni di vittime, il potere di Mao sembra vacillare, mentre comincia a emergere quello di Jiang. 

     Nel 1965 Mao orchestra la demenziale campagna della cosiddetta Rivoluzione Culturale, che gli consente di riprendere saldamente in mano le redini del comando. A questo punto Jiang,  stanca tra l’altro di essere trascurata dal marito sempre più impegnato con le sue giovani concubine, decide mettersi al centro della scena politica, prendendosi quel ruolo da protagonista che le era stato sempre negato. Mao, pur di saperla occupata in altre faccende che la distraggono dalle vicende familiari, lascia fare. 

    Jiang avvia un’intensa attività di “purificazione”, vendicandosi di tutti coloro che l’avevano in precedenza ostacolata e creandosi una rete di fedelissimi. Ma non si rende conto che tutto il potere che acquisisce non lo deve alle sue qualità personali o alle sue competenze o anche alla sua personalità. Lo deve solo al fatto di essere la moglie di Mao!

Così, quando il Grande Timoniere muore, i suoi eredi politici la faranno arrestare insieme ai suoi tre complici (Zhang Chunqiao, Yao Wenyuan, Wang Hongwen), la banda dei quattro. Tutti accusati di complotto, non senza ragione. Jiang avrebbe in effetti voluto prendere il potere, tutto il potere. Un tribunale, alla luce dei crimini commessi dalla donna durante la rivoluzione culturale, la condannerà a morte  il 24 gennaio 1981. Jiang non mostrerà mai alcun pentimento e considererà con disprezzo il tribunale che l’aveva condannata. Nel 1983 la sua pena capitale viene commutata in reclusione a vita.

      Ma il potere perduto corrode irrimediabilmente la sua personalità. L’imperatrice rossa sognava di succedere al Grande Leader e si ritrova invece in prigione senza speranza di uscirne. I 14 maggio 1991 si suicida. O meglio, si “sarebbe” suicidata secondo le notizie fornite dalle autorità cinesi solo due anni dopo, nel 1983…

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Le due vite del presidente

Mao Tse Tung


Giornale/Rivista: BBC History Italia
Uscita: 01/02/2013

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